I mulini natanti - Tra '800 e '900 vera realtà produttiva del Polesine

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I mulini natanti – Tra ‘800 e ‘900 vera realtà produttiva del Polesine

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E’ impossibile pensare a Rovigo, ed al Polesine in generale, come una terra uguale a tante altre. La provincia viene spesso presentata come terra d’acqua e proprio per questo che all’acqua non possono che essere legate infinite storie. Non tutte piacevoli, come le alluvioni, ma alcune sicuramente curiose e pittoresche. Senza ombra di dubbio l’acqua come elemento inscindibile dei destini di questi luoghi. Nel bene e nel male.

Nell’Ottocento, le uniche attività che potevano essere vicine all’industria e che prosperavano in Polesine, erano quelle che riconducevano alla molitura. Erano sopratutto attività in cui era possibile avere direttamente le materie prime ed un diretto collegamento con il territorio. Attività che nascevano da antiche tradizioni, molto spesso tramandate di padre in figlio. Nel corso del XIX secolo si potevano contare, in Polesine, circa 250 mulini. Fortemente distribuiti nelle zone bagnate dall’Adige con una forte concentrazione nell’area di Badia Polesine.

Polesine, terra d’acqua

In una terra attraversata e segnata da due grandi fiumi non poteva che esserci una peculiarità anche in questo genere di attività. Erano infatti molto diffusi e numerosi i cosiddetti mulini natanti. In realtà la tradizione è documentata fin dal Medioevo ma fu nel corso del XIX secolo che essi conobbero una grande espansione sfruttando al meglio la grande forza delle acque. Essi erano costituiti da uno o due ruote con relative macchine per la macinazione. Caratteristico il tetto spiovente fatto di paglia o legno, che serviva a caratterizzare anche la provvisorietà di quel luogo, vissuto dal mugnaio e dalla sua famiglia.

Disposti generalmente a gruppi lungo il fiume, trovavano dimora ideale, in genere, davanti alle golene. Inutile dire che i problemi che creavano alla navigazione erano non indifferenti. Per arrivare a capire il fenomeno basti pensare che si arrivò a contare oltre 245 mulini natanti dei quali 104 erano posizionati lungo il Po e 141 lungo l’Adige. Come era ovvio che fosse essi crearono comunque simbiosi con il territorio e, insieme alle osterie (poste sempre in prossimità delle golene) diventarono luoghi di incontro per la comunità (non sempre per attività lecite). Molto presto infatti le autorità iniziarono a tener d’occhio quelle costruzioni che iniziarono ad essere ricettacolo di contrabbandieri, banditi, anarchici e sovversivi che, spesso con la complicità del mugnaio, approfittavano del buio per attraversare il fiume.

Il declino ed il racconto

E fu proprio questa una delle cause della loro diminuzione. Le autorità, infatti, iniziarono attività di controllo sempre più restrittive (anche spinti dalle lamentele per la pericolosità circa la navigabilità del fiume) e negli anni ’20 del Novecento inizia il lento declino dei mulini natanti fino a farli sparire del tutto negli anni ’50.

A queste storie ed ai mulini natanti è dedicato il libro “Il mulino del Po” di Riccardo Bacchelli (inizialmente diviso in tre parti : Dio ti salvi, La miseria viene in barca, Mondo Vecchio sempre nuovo). A quest’ultimo volume si ispira uno dei più grandi registi del neorealismo italiano, Alberto Lattuada. Suo è infatti il film “Il mulino del Po” che vede la produzione di Carlo Ponti e la sceneggiatura di un Federico Fellini non ancora trentenne.

Foto e fonti : de:benutzer:Aeggy [CC BY-SA 2.5 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.5)] Rovigo e il Polesine tra ‘800 e ‘900.

I mulini natanti – Tra ‘800 e ‘900 vera realtà produttiva del Polesine ultima modifica: 2018-11-08T10:56:05+01:00 da Alessandro Effe

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