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Non siamo Venezia, il dramma di Scardovari

Sacca degli Scardovari

La notte del 12 novembre, mentre le immagini di Venezia riempivano TV e social network, si consumava un altro terribile disastro ambientale. Pochi chilometri a sud della città patrimonio Unesco, nel cuore del Delta del Po, uno dei luoghi simbolo di questo fragile ecosistema veniva travolto dal vento e da una mareggiata come mai se ne erano viste negli ultimi anni. Il mare, solitamente amico di chi vive in queste zone e portatore dei frutti prelibati con cui riempiamo le nostre tavole, ha per una notte voltato le spalle alla sua gente. Quella della Sacca degli Scardovari.

Sacca degli Scardovari
Foto di Matteo Albertin

Nel cuore ferito del Delta del Po

Impotenza. Smarrimento. Frustrazione. Rabbia. Speranza. Delusione. Difficile descrivere cosa possa albergare nel cuore di che vive un disastro ecologico. In pochi attimi, travolte dalla furia degli elementi, intere vite di sacrifici vengono spazzate via. E poco importa se a farlo è un terremoto, una frana, un’alluvione o una tempesta. Quello che rimane, è sempre la stessa terribile sensazione: un grande vuoto. E il silenzio. Il silenzio che scende non solo nei luoghi colpiti da tali disgrazie, ma soprattutto nell’attenzione dei media. Perché dopo il clamore dei primi giorni siamo tutti, nessuno escluso, figli di un Dio minore. Ecco allora che il dovere di raccontare e documentare queste calamità diventa di vitale importanza. Affinché immagini e parole restino impresse più a lungo. Più a lungo del tempo che impiegano le luci del carrozzone mediatico a spostarsi verso il prossimo drammatico show. Poco importa se le cause di questi eventi siano da imputare ai cambiamenti climatici, all’incuria umana o a tragiche fatalità. Gli effetti e i danni di una singola ora di burrasca dureranno per giorni, mesi, forse anni. L’80% delle celebri palafitte dei pescatori spazzate via. La spiaggia di Barricata cancellata. Barche affondate. E con essi anche il lavoro e i sacrifici dei molti pescatori che dipendono dalla pesca e dai celebri mitili della Sacca degli Scardovari. Uno scenario di guerra, a cui purtroppo siamo tristemente abituati, in un’Italia fragile e spesso impreparata. Il tam tam della solidarietà si è per fortuna prontamente messo in moto, ma sappiamo bene come sia facile cadere nel dimenticatoio. Se altrove l’attenzione e le polemiche si trascinano per mesi, qui, nella terra dei grandi silenzi, si teme possano spegnersi troppo in fretta le luci della ribalta.

Sacca degli Scardovari
Foto di Antonio Pozzato

In viaggio verso la Sacca di Scardovari

Ecco che nasce quindi il dovere di documentare la tragedia. In una mattina di pioggia, una settimana esatta dopo il terribile fortunale, assieme all’amico fotografo Matteo Albertin siamo partiti per la sacca degli Scardovari. Impreparati forse. Non consapevoli di ciò che si sarebbe rivelato di fronte ai nostri obiettivi. Un compito delicato. Con il rischio di sembrare intrusi, un fastidioso disturbo per le molte persone che nel frattempo si stanno adoperando per riportare la zona ad una normalità ancora lontana. Ma convinti che le immagini, mute ma al tempo stesso portatrici di un messaggio forte, possono imprimere nella memoria di chi le guarda il bisogno di aiutare. Come? Visitando, nonostante tutto, questi meravigliosi luoghi, ricchi di fascino in ogni stagione. Comperando i suoi rinomati prodotti. Partecipando alle raccolte di fondi. Riempendo i ristoranti e gli agriturismi. Leggendo e condividendo queste righe. Facendo sentire le vittime del disastro, meno sole.

Caos 2
Foto di Matteo Albertin

Bianco e nero, luci e ombre, delusione e speranza

La prima sensazione che vi travolge appena giunti sul posto è che qualcosa si sia rotto. Che l’equilibrio fragile, ma al tempo stesso vitale, tra uomo e natura si sia inceppato. Andando in frantumi. Un paesaggio irriconoscibile per chi ha visitato e conosce il Delta del Po, percorso i suoi argini, annusato la sua aria, respirato il suo silenzio, adorato i suoi colori. Rotto. Spezzato. Infranto. Qui, dove la terra e il mare si fondono, dove le mani sporche di terra si sciacquano nell’acqua salmastra. Dove i frutti nascono al ritmo delle maree e le fondamenta sono tronchi di legno conficcati nel fango. E si è incapaci di reagire. Lo si legge nei volti stanchi delle persone. Nei corpi appesantiti da notti insonni e incubi sul domani che verrà. I gesti, meccanici, quasi in sincronia con le gru al lavoro. I silenzi, interrotti solamente da un timido saluto, pronunciato a bassa voce, quasi fossero condoglianze. Attorno a noi, come in un grande immenso puzzle, milioni di pezzi di vite spezzate. Un mosaico che purtroppo, sarà difficile ricostruire. Ma l’aria che respiriamo è sempre la stessa. Frizzante e vitale. Forte. Come il profumo di un mare che qui, nel Delta, sembra sempre nascondersi. Forte. Come la gente che vive sulle sue sponde. Mani nodose e visi segnati dal sole. Allora ce ne andiamo con una speranza. Una fiducia rinnovata. Per una quiete, dopo la proverbiale tempesta. Se pensate di voler fare qualcosa in più vi lasciamo il link alla pagina Facebook del Comune di Porto Tolle.

Non siamo Venezia, il dramma di Scardovari ultima modifica: 2019-11-26T10:14:06+01:00 da Antonio Pozzato

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