I due fiumi che circondano Rovigo, il Po e l’Adige, hanno, oggi, corsi ed alvei ben definiti. Argini forti e sistemi di crisi che scattano in caso di condizioni atmosferiche avverse. Come abbiamo avuto modo di dire in passato, essi hanno condizionato pesantemente la storia del Polesine, del suo paesaggio e dei suoi lavoratori. Infatti solo grazie a pesanti opere di bonifiche è stato possibile strappare lembi di terra utilizzabili per le coltivazioni. Ciò significa, ovviamente, che gli straripamenti e gli allagamenti, pur facendo parte del travagliato passato polesano, sono stati oggetto di tragedie umane ed esodi che hanno drammaticamente penalizzato gli abitanti di questa splendida provincia. Uno di questi è senza dubbio la rotta di Ficarolo, che traccia un nuovo corso per le acque e porta Rovigo a trovarsi separato, per sempre, da Ferrara.
La rotta di Ficarolo
Come abbiamo avuto modo di raccontare, la Rotta della Cucca aveva già pesantemente condizionato l’idrografia fluviale del basso Veneto. In quel caso, a “rompere”, è l’Adige. In questo caso, invece, il Po. Quello che, andando indietro nel tempo dell’episodio, si può dire è che fino al 907 della rotta non vi è traccia. Si prende in considerazione lo scritto di Antonio Frizzi che nel suo “Memorie per la storia di Ferrara“, cita un documento di concessione dell’arcivescovo di Ravenna Giovanni XI parla della località su cui sorge l’attuale Ruina e dei confini limitanti. Anche lo storico Sante Magro nel suo “Storia dell’Alto Polesine” cita corsi d’acqua che portano a dedurre che, nel 907 appunto, la rotta non si è ancora verificata.
La maggior parte degli studiosi è portata a supporre che la Rotta avvenne nel 1152. Anche il su nominato Sante Magro avalla l’ipotesi che la Rotta di Ficarolo porti quella data. Qui però vi sono da fare assolutamente delle precisazioni. Alcuni scritti riportano infatti ipotesi contrastanti circa l’episodio. Ad esempio vi è chi suppone (come Pellegrino Prisciani, bibliotecario di Ercole D’Este) che la Rotta possa essere ascritta al 1150. A questa data fa riferimento Riccobaldo Gervasio. Di certo vi è che, a seguito di forti precipitazioni il Po ruppe gli argini in più punti nei pressi di Ficarolo ed allagò la campagna e le valli Polesane. La rotta rimane disalveata per oltre vent’anni.
Conseguenze ed altre ipotesi
I rami del Po di Volano e di Primaro perdono man mano di portata e di importanza. Il nuovo corso del fiume si “sposta” su un tratto più settentrionale, che corrisponde grosso modo a quello attuale fino ad Ariano. Qui si separa in più rami. Il Po di Fornaci, il Po di Ariano, il Po di Goro. Altre ipotesi relative alla Rotta di Ficarolo meritano di essere menzionate. Come, ad esempio, quella che parla di più rotte mal governate e che si susseguirono per almeno venti anni. O, ancora, si parla di un tal Siccardo (o Sicardi) che usa la Rotta solo per inondare i villaggi vicini.
Il catastrofico evento porta morte, miseria e devastazione. Il Polesine rimarrà ancora per molti anni con “pantani” anche creati ad arte per via delle guerre di conquista del territorio. Sfortunatamente, non sarà per questa provincia, l’ultima prova da affrontare nel rapporto d’amore e convivenza coi fiumi.
Fonte: Ducatoestense. Foto: Consorzio Bonifica, Estensemeteo, Biblioteca Idraulica Italiana.