La polenta sta all’inverno come il cocomero all’estate. Basta partire da questo assunto per spiegare questo piatto, o meglio, quanto sia importante la polenta in Polesine ed in Veneto. I due prodotti sopramenzionati sono semplici ed accessibili a tutti. Con la scoperta del mais (da parte di Colombo e degli spagnoli) in America, si apre l’importazione dello stesso verso l’Europa. Per iniziare in Spagna, poi Venezia e l’Italia tutta. E’ per questo che lo sviluppo e la coltivazione è legata al Veneto a doppio filo. La pianura veneta (da Verona a Rovigo) si dimostra particolarmente adatta alla coltivazione del mais bianco e giallo. Il successo è immediato.
Politiche agricole e benessere
Sono gli anni della ripresa e del benessere economico, grazie alle politiche agricole poste in essere dalla Repubblica di Venezia alla fine del quindicesimo secolo. Cui si aggiunge la bonifica delle valli e la creazione di una rete efficiente di fiumi e canali. La polenta rallegra le sere dei contadini attorno al fuoco. La sua morbidezza la rende adatta a tutti, vecchi e bambini. Si sviluppa così tanto che, nel 1600, il raccolto del mais diviene molto più abbondante di quello del grano. La farina di polenta assicura sopravvivenza a tutti e dona una sensazione di diffuso benessere. Il lato negativo è invisibile. La pellagra.
Una malattia che si sviluppa per mancanza di vitamine e che verrà vinta grazie al consumo di frutta e verdura. Prima però mette a dura prova i veneti, in particolare la povera gente che aveva nel mais l’unica fonte di sostentamento. Bastano infatti solo acqua, farina e sale. Si mette a bollire l’acqua e si versa la farina a pioggia, mentre con una mano si impugna la mescola che rotea nella pentola per sciogliere i grumi. In un’ora circa la cottura è ultimata e l’oro giallo bello e pronto. Mangiare polenta tutto il santo giorno ha spinto i veneti alla ricerca di qualche alternativa gastronomica.
La polenta infasolà
Una ricetta molto comune, in Veneto, era la polenta infasolà. Il nome poteva cambiare di luogo in luogo. A Venezia, ad esempio, il piatto prendeva la denominazione di sughi dei fasioi. A Chioggia invece mutava in i basàri. Nel Polesine dell’inizio del ventesimo secolo, dominato dall’ideologia socialista, era chiamata gli sbirri intabarrati. La ricetta è semplice e le dosi sono per quattro persone. Mettete a bagno trecento grammi di fagioli secchi, almeno per una notte. Fate poi cuocere un battuto di cento grammi di pancetta in olio, burro e mezza cipolla. Aggiungete al composto abbondante acqua salata e delle foglie di rosmarino e salvia.
Fate cuocere questo preparato per almeno tre ore. Riducete il liquido e poi addizionate tre etti di farina di mais a pioggia. Mescolate per almeno quarantacinque minuti. E’ una ricetta che può avere delle varianti, come, ad esempio, quella di mantenere la tradizione ed eliminare la pancetta. Noi l’abbiamo aggiunta per rendere più gustoso il composto. Vi potete sbizzarrire come meglio volete. Lasciate comunque raffreddare il composto prima di gustarlo. Abbinate un bicchiere di cabernet Franc dei colli Euganei e buon appetito!
Fonte: Vino e Cibo. Foto: Fragolaecannella, Verona.net.