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I pesci e il bosco. Viaggio nella cucina Polesana, terza parte

La polenta, piatto tipico della cucina polesana

L’introduzione del mais cambia il panorama agrario che viene, letteralmente, sconvolto. Inizia una rapida diminuzione degli spazi destinati ai legumi, al miglio alla melica. Essi erano stati, per secoli, polente, zuppe e piatti unici. A coprire il fabbisogno calorico della plebe è allora chiamato il mais, cosiddetto “cibo di resistenza“. Per fortuna l’orto ed il pollaio continuano a fornire una notevole integrazione in termini di apporto. Oltre a questo, erbe e verdure, di facile accessibilità, hanno contribuito a formare la base di tante pietanze. Il piccolo “allevamento” interno ha poi contribuito alla presenza di carni bianche e molte uova sulla tavola della famiglia polesana (e della cucina polesana). E poi, come leggeremo, pesci e doni dai boschi.

Viaggio nella cucina polesana

Gli innumerevoli corsi d’acqua abbondavano di numerose specie ittiche che, naturalmente, si moltiplicavano in un territorio assolutamente favorevole a loro. Si poteva pescare nelle valli e nei laghi interni, nelle lagune e nelle fosse, nei nassari, negli scursuri (scoli) e nelle gradarie (le valli attrezzate per la pesca). Molto spesso, se non vi era nulla per cena, alla sera, si andava nella fossa più vicina e con un setaccio si raccoglievano gamberi che poi si mangiavano fritti. Oppure si usava il corgo (una specie di gabbia per pulcini) e poteva finirci dentro una bella carpa o una tinca.

Lucci, rane, anguille, cavedagne, tinche, cefali, barboni, branzini, orate, ostriche, gamberi di fiume (pregiatissimi). Per non parlare degli storioni, che si trovavano molto spesso in quelle zone. Nel 1501, in occasione delle nozze di Lucrezia con principe Alfonso, il duca Ercole requisisce tutto il pesce e gli storioni che sono stati catturati nel distretto di Adria. Fa, addirittura, scrivere al capitano della piazza adriese. “Vedi de fare che habbia tutte per prectio conveniente et non fare la bolletta ad alcune né lassare andare fora alcuna. Come havemo dicto le volemo tutte per le noze. Et simile dicemo di tutto il pesce che si pigli in questa iurisdictione“. Come si può facilmente intuire, la cucina polesana è zeppa di ricette a base di pesce.

La generosità dei boschi

Fino a tutto il XVI secolo, anche i boschi sono particolarmente generosi. Ghiande per i cinghiali e per i maiali, abbondanti erbe selvatiche e radici. La caccia rimane pressochè libera, in cambio però dell’homagium da riconoscere al “signore”. Spesso, questo omaggio, consisteva nella sola consegna della testa degli animali uccisi. Ciò si può desumere dal patto veneto-loredano, stipulato nel 1094 a Rialto, tra il doge Vidal Falier e la comunità di Loreo. “Se qualche cacciagione prenderete alcun cinghiale, siete obbligati a portare il capo e li piedi di quello a Noi, ed alli successori Nostri“. Dai meandri della memoria, emergono ricordi che sono quelli di una terra ricca di ogni bendidio.

Nel suo Etnografie intorno al Polesine in età moderna e contemporanea, Rigoni scrive : “Qui da noi un tempo vivevano i paladini di Orlando e la chiesa di San Basilio l’hanno fatta loro. In una sola notte, senza impalcature“. E ancora : “Era sufficiente gettare le reti in Po ed i pesci vi saltavano dentro. La spiga del frumento era grande quanto uno stelo, dalla radice alla sommità. Per mietere non bastava il seghetto ma occorreva la scure perchè il gambo del frumento era grosso quanto un albero“. Pure a chi si affacciava dal di fuori il Polesine appariva come una sorta di terra promessa. Così dovette apparire, ad esempio, al trevigiano Giacomo Agostinetti autore del manuale Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di villa che scrive : “La terra del Polesine è terra di promissione che frutta, a dispetto del mondo“.

Fonte: La cucina Polesana. Foto: VersiliaToday, Polesine24, Kung Food.

I pesci e il bosco. Viaggio nella cucina Polesana, terza parte ultima modifica: 2019-07-22T16:00:14+02:00 da Alessandro Effe

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